Il fuoco rese l’uomo cuoco. Il primo di una breve serie di articoli realizzati dal Prof. Danilo Gasparini, insegnante di storia dell’agricoltura e dell’alimentazione presso l’Università degli Studi di Padova.
Ogni santo giorno quando pigiamo un interruttore, avviamo un motore …dietro c’è sempre qualcosa che brucia… c’è il fuoco. “Il controllo del fuoco è talmente antico e rappresenta una svolta così epocale nella storia degli esseri umani che ha generato moltissimi miti e teorie volte a spiegare come ci si arrivò”. Così scrive Michael Pollan autore di uno straordinario libro, Cotto, (2014) dedicato ai quattro elementi della natura: terra, aria, fuoco e acqua. La vera questione allora non è chi ha inventato il fuoco, perché il fuoco in natura esisteva, ma quando e chi ha iniziato a controllare il fuoco, a piegarlo ai propri bisogni, insomma ad “addomesticarlo”, a sorvegliarlo perché può diventare pericoloso e devastante se non controllato. E le cronache di questi anni ci raccontano, ad ogni latitudine, gli effetti drammatici degli incendi.
Tutto inizia quando qualcuno, invece di tentare di spegnere un incendio, provocato da un fulmine, da una lunga siccità, dalle scintille provocate dalla scheggiatura di una selce, decise che forse era utile conservare quella fiamma, tenerla accesa, trasportala per farne un buon uso. Il fuoco è stato lo strumento più antico e più potente che ha avuto l’umanità per modellare il mondo naturale. Grazie agli ominidi gran parte della flora e della fauna del mondo consiste in specie che si sono adattate al fuoco (pirofite), la cui crescita è stata incoraggiata tramite l’uso degli incendi. I nostri antenati avranno sicuramente notato le trasformazioni del territorio in seguito agli incendi naturali: il modo in cui eliminavano la vecchia vegetazione e incoraggiavano la rapida colonizzazione da parte di grandi quantità di erbe e cespugli, molti dei quali portatori di semi, bacche, frutti e noci.
I nativi americani hanno impiegato il fuoco per fare in modo che i terreni fossero adatti agli animali che cacciavano: alci, cervi, castori, lepri, porcospini, pernici, tacchini, quaglie… Creavano così dei territori di caccia-safari e usavano il fuoco per cacciare anche selvaggina di grossa taglia. La foresta pluviale dell’Amazzonia porta le tracce indelebili dell’uso del fuoco per eliminare la vegetazione e aprire la copertura formata dalla chioma degli alberi. Nel tempo tutto ciò rappresenta un deliberato sconvolgimento dell’ecologia attraverso la concentrazione di più risorse per la sussistenza in aree più piccole: vere e proprie nicchie alimentari e in questo modo, usando il fuoco, il raggio di un pasto è stato accorciato.
Prof. Danilo Gasparini
Storico dell’alimentazione, scrittore, ospite e consulente Geo & Geo (Rai Tre)